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Don Boveri.

Don Boveri Luigi da Tortona, o più precisamente da Costa Vescovato.

Era l'estate del '79, una classica estate italiana, come da un pò di tempo a questa parte non succede spesso. Giornate calde si alternavano a nottate più fresche, niente a che vedere con le ondate di caldo africano che quando arrivano ti impediscono di respirare anche ore e ore dopo il tramonto.

Tuttavia, doveva essere la tarda mattinata, in quanto ancora adesso ricordo la sensazione di caldo sulla pelle e di felicità nel cuore, entrambe piacevolmente intense e tutt'ora capaci di riscaldarmi l'animo.


Mia nonna paterna, ultima figlia di 5, di una classica famiglia di mezzadri toscani, prima e durante la seconda guerra mondiale, veniva spesso mandata a turno dalle due sorelle maggiori già sposate per aiutarle nei lavori domestici.

A volte a Roma e a volte a Tortona.


Quel giorno eravamo tornati a Tortona insieme a mio padre, mia madre e mia sorella perchè voleva salire ancora una volta sul campanile del Santuario della Madonna della Guardia. Da lassù diceva lei, riusciva a vedere anche la Toscana, Volterra e distinguere il suo podere, ovvio che la distanza e soprattutto l'appennino Tosco-Emiliano impediscono fisicamente ciò, ma gli occhi della mente quando agiscono sotto la potenza del cuore e l'anima è trasparente sono sicuro possono riuscirci.


Mia madre restò con mia sorella a terra che nemmeno si pose il problema di salire lassù, io già allora che "un passo indietro nemmeno per prendere la rincorsa" e quindi, di sicuro mio padre che disse: "Sarà meglio che li accompagni?".


1, 2, 3, 4... ovviamente iniziai a contare i gradini con entusiasmo, 14, 15, 16... ma quanti sono... 167, 168, 169... coraggio siamo quasi a metà... 298, 299, 300... arrivati! Ai piedi della base della Madonnina solo un piccolo passaggio per girarci intorno e una piccola protezione in ferro battutto aperta, che tutto dava, meno che la sensazione di essere al sicuro. Verticalità. Lì, mi sono reso conto per la prima volta in vita mia, di essere un pò acrofobico (paura dell'altezza), ovvio niente, in confronto alla mia fobia più grande che poi negli anni si è rivelata incontrollabile e fortemente condizionatrice della mia vita: la cenosillicafobia.


Scendiamo ed entriamo nella Chiesa, obbligatorio a quell'età accendere una candela quando invece vengo rapito da una musica irreale. Surreale. Profonda. Tanto potente quanto eterea. Inquietante e rassicurante allo stesso tempo. Austera ma accogliente. Sacra e profana. Angelicamente diabolica o diabolicamente angelica. Tanto nelle note e nella melodia, quanto nel suono avvolgente e penetrante.


Un vecchio parroco seduto all'organo stava suonando Toccata e fuga in re minore di Bach.


"Babbo, ma come mai suona lì e invece si sente dappertutto?"


"Vedi quei tubi lì? E là? Quelle sono le canne d'organo. Ognuna di dimensioni in altezza e diametro diversi perchè ognuno emette una nota diversa. Precisa, armoniosa, ma diversa l'una dall'altra"


Quel vecchio parroco che suonava l'organo, no, non è Don Boveri.


E Boveri Luigi non è reverendo, almeno non nel senso ecclesiastico del termine, però il suo approccio al "fare il vino" e nell'accoglienza, è da buon pastore. Avete presente un tranquillo ed umile prete di campagna che non cerca la santità? No, non è nelle sue corde ed è anche un modo di vivere poco simpatico. Che non ha come orizzonte il Vaticano ma la sua amata terra. Che prima della spiritualità e dell'essere sacerdote, sa di essere uomo terreno e vuole esserlo, rivendica il diritto di esserlo, perchè vuole avere anche il diritto di brontolare con il Signore, o meglio con "l'amministratore delegato", quando tutto sembra avverso. Poi, la sua umiltà di uomo semplice e radicato alla terra, la sua fede e la sua esperienza, fa si che accolga ed accetti quanto la natura gli concede perchè sa che comunque ha un progetto più grande di lui. E prima o poi si rivelerà nella sua vera essenza.


In alcuni momenti difficili, quando non riesco a trovare risposte logiche a certe situazioni che semplicemente accadono, ripenso al suo Timorasso 2017. Filari di Timorasso 2017.


Gelata di metà aprile, 4 notti consecutive le temperature sotto zero, tralci di 40/50 cm completamente bruciati. Non si sa come, qualcosa miracolosamente riesce a resistere ma anche l'estate non è delle migliori. Scarsissime precipitazioni. Eppure, dopo avere imprecato contro "l'amministratore delegato" (qui ci stava), riesce comunque a vendemmiare quella poca uva che gli era stata concessa. In cantina dice alla moglie: "Quest'anno o si butta via tutto o viene fuori qualcosa di straordinario".


La seconda!


Una perla rara fra le perle.


Un'apertura al naso di idrocarburi da far impallidire un riesling alsaziano che poi si apre con sentori freschi agrumati, fiori di campo ed erbe aromatiche e poi note più dolci di frutta matura a polpa gialla e lampone. Lampone? In un vino bianco? Beh si, chiaro e netto si percepisce come se le condizioni estreme dell'annata avessero fatto riemergere la parte di dna, ben oltre l'80%, che il Timorasso condivide con vitigni a bacca rossa. Spina dorsale da rosso che poi ritroviamo in bocca come struttura importante sempre ben sorretta da una importante freschezza e una sapidità minerale regalata dal terreno che lo rendono sempre piacevole, equilibrato ed armonioso. Pronto ad evolvere ed emozionarci per i prossimi anni.

Quelle canne d'organo sono invece quegli 8 calici ognuno con le varie annate del Timorasso 2005, 2006, 2011, 2012, 2015, 2016, 2017, 2018.


Eppure le note musicali sono 7, i calici 8, c'è qualcosa che non torna. Oppure si.

Il 2017 è una nota improbabile, particolare.

E' il "re diesis minore" della composizione di Bach.


Ed è quindi con lo stato d'animo euforico, stupito e frastornato di emozioni di quel bambino in Chiesa di fronte alla solennità di quell'organo e di quella musica che ho iniziato a degustare le altre annate come note musicali.


Ad ogni nota Don Boveri predicava una parabola mettendo il sigillo di unicità e garanzia, qualora ci fosse stato bisogno, ad ogni singola annata.


Poi ho iniziato a fare le prime scale, do-re-mi-fa... e a cercare le differenze fra le varie annate e quando mi sono sentito più sciolto ho iniziato i primi timidi accordi. Le prime melodie. Le prime sinfonie azzardate.


Tutto sarebbe stato inutile se ogni nota non fosse stata accordata alla perfezione e intonata nella sua diversità. Ogni annata di Filari di Timorasso degustata ha sottolineato le evidenti capacità di evolversi negli anni di tale vitigno pur ognuno con caratteristiche diverse. Lasciamo che la Natura, "l'amministratore delegato", faccia il suo, poi tanto ci pensa Don Boveri a catechizzarci tutti!


Una verticale di sensazioni e di emozioni, questo è stato grazie a Boveri Luigi e alla moglie Germana.


Questo è DVinovertiGO!

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