Fattoria di Montecchio: dalla terra alla terracotta, ma avrei potuto intitolare questo post anche "ritorno al futuro".
Ecco perchè:

Appena arrivi a San Donato in poggio, vicino a Firenze, prima di entrare nel centro, trovi un bel prato dove al centro c'è un gigantesco orcio in terracotta da cui dietro spunta una statua in secondo piano di un gallo nero.
Già due cose diventano chiare ed evidenti:
la prima, più importante, che qui vengono prodotte le terracotte fra le più famose del mondo e la seconda, che siamo nel cuore del chianti fiorentino.
O forse ho sbagliato qualcosa?
Ricominciamo:
Fattoria di Montecchio: dalla terra alla terracotta.

Appena arrivi a San Donato in poggio, vicino a Firenze, prima di entrare nel centro, trovi un bel prato dove al centro c'è un gigantesco gallo nero da cui dietro spunta un orcio in terracotta in secondo piano.
Già due cose diventano chiare ed evidenti:
la prima, più importante, che qui siamo nel cuore del chianti fiorentino, vino di fama mondiale, e la seconda che qui vengono anche prodotti manufatti in terracotta.
Anche così non mi suona bene, insomma, sulla destra di questo prato, c'è una strada che porta alla Fattoria di Montecchio.

Un attimo ancora, non avere fretta di percorrere la strada sterrata che può condurti in paradiso, subito prima sulla destra trovi due "monoliti", due "avvertimenti", due "segni/segnali", due "suggerimenti", due "simboli":
il primo, "profano", una roccia su cui vi è una targa con scritto:
"La terra primo capostipite,
la vite secondo capostipite,
l'uomo terzo capostipite,
l'uomo riceve grandemente
l'energia e la trasforma nel
miracolo della vinificazione."
Cit. Ivo Nuti
e il secondo, "sacro", una Madonnina.
Di nuovo un dualismo, prima fra il gallo nero e la terracotta, adesso fra il "sacro" e il "profano", ma d'altra parte siamo in Toscana, la terra delle disfide: Firenze contro Siena, guelfi contro ghibellini, gallo nero contro gallo bianco.
Di nuovo una scelta.
Scelgo di percorrere la strada sterrata che mi porta alla fattoria.
Alla fattoria, c'è la cantina, quindi il gallo nero, ma è presente anche la fornace, la terracotta.
Ma è proprio qui, nella cantina, luogo di pace, che cessa ogni disputa, ogni contrapposizione.
Improvvisamente "sacro" e "profano" si fondono insieme e scopri che lo sono sempre stati. Che sono i due lati della stessa medaglia. Lo yin e lo yang. Complementari e indispensabili l'un l'altro. Non in competizione, ma in profonda comunione.
Già, perchè qui alla Fattoria di Montecchio hanno deciso di produrre un vino, sangiovese in purezza, quindi l'espressione più identificativa del territorio, usando la terracotta, sia per la fermentazione, con un orcio particolare che per l'affinamento, usando anfore appositamente progettate e manufatte.
L'uve di sangiovese da quella terra nascono e quella stessa terra, diventata "terracotta" sarà la culla della trasformazione in vino e lo accompagnerà nella sua crescita, nella sua evoluzione.
Ancestrale!
Di sicuro un vino in cui viene esaltato profondamente il territorio, o meglio come dicono i francesi con un'accezione più ampia del termine, il terroir. Un vino che vuol competere in un mercato "globalizzato" non standardizzandosi, ma con l'estremizzazione dell'identità territoriale.
Quando uno beve Priscus, insomma, beve un sorso della terra della Fattoria di Montecchio, ed io mi ritengo un privilegiato ad averlo fatto.
Se Priscus, quindi, è il "marchio" identificativo e distintivo della Fattoria di Montecchio, non mancano certo altri vini a confermare la qualità dell'azienda.
Ma delle degustazioni e quindi dei vini nel dettaglio, compreso Priscus, ne parlerò nel prossimo post.
A presto!
MN